Il 1983, l’anno delle sparizioni
La storia recente del nostro paese è attraversata da eventi epocali che hanno costruito l’identità di una nazione ma, al di là della narrazione ufficiale, lo svolgersi di questi fatti presenta numerose zone d’ombra. Cercare di districare questa fitta rete di misteri, intrighi e malaffari non è facile e, molto spesso, più si va a fondo maggiore è il rischio di incontrare ostacoli, perché tentare di svelare una verità ben nascosta porta inevitabilmente ad una strada impervia. Le pagine di cronaca nera sono state chiaro scenario di ciò che è accaduto negli ultimi decenni: un alternarsi di stragi, omicidi e misteriose sparizioni. In quest’ultimo caso è necessario focalizzarsi su un anno in particolare: il 1983.
Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di soli 15 anni, esce di casa per non farne mai più ritorno. La scomparsa della ragazza macchia per sempre la reputazione del Vaticano che, ritenuto coinvolto nella vicenda, si è chiuso nel silenzio delle mura leonine per molto tempo, salvo cambiare strategia soltanto di recente. Ma in questi 40 anni la ricerca della verità ha portato a scandali, manomissioni e depistaggi che hanno segnato il paese e al contempo hanno diffuso consapevolezza tra le persone che, assieme agli Orlandi, pretendono di sapere la verità. La misteriosa sparizione della cittadina vaticana è “soltanto” la punta dell’iceberg: sono infatti molte le donne scomparse in questo stesso periodo, le cui storie purtroppo hanno avuto una rilevanza mediatica inferiore o nulla. Secondo un recente studio realizzato dal direttore scientifico dell’istituto Neurointelligence Franco Posa e dalla sua collaboratrice Jessica Leone, tra il 1982 e il 1983 nell’area di Roma e dintorni sono sparite 39 persone di sesso femminile e, dato ancor più sconcertante, tra febbraio e maggio dell’83 nelle zone limitrofe alla Città del Vaticano, ad una distanza massima di 5 km da quest’ultima, sono stati rilevati 15 casi di sparizione di ragazze d’età compresa tra i 14 e i 17 anni. Dei 15 casi citati, 8 sono avvenuti tra maggio e giugno.
Tra queste misteriose sparizioni, una in particolare è stata indagata congiuntamente a quella di Emanuela Orlandi. Trattasi di Mirella Gregori, cittadina romana di 15 anni scomparsa poco tempo prima, il 7 maggio. Per raccontare la sua triste vicenda è necessario fare un passo indietro e tornare al fatidico ’83.
Un’adolescente come tante
Le giornate di un’adolescente negli anni ’80 sono scandite dalle ore passate a scuola, con gli amici e con il fidanzato, tale era la vita di Mirella Gregori. La ragazza passa la maggior parte del suo tempo libero dividendosi tra il quartiere Nomentano, dove vive, e la zona di Centocelle, fulcro delle sue amicizie più strette e dove abita il suo fidanzato Massimo.
Da tutti Mirella viene descritta come una persona solare, vivace e riservata allo stesso tempo. La sua famiglia è composta dal padre Paolo, la madre Vittoria Arzenton e la sorella Maria Antonietta di due anni più grande di Mirella. I Gregori gestiscono il bar “Coppa d’Oro” e la loro è una vita serena. Mirella ha un bellissimo rapporto con sua sorella e anche con sua madre, con la quale si confida tranquillamente: sua figlia non nasconde segreti, non ha grilli per la testa. Anzi, ha un buon rendimento scolastico, informa sempre i genitori dei suoi spostamenti e in caso di imprevisti è solita avvisare a casa così da non allarmare nessuno.
Come le la maggior parte delle sue coetanee, confida cotte segrete alle amiche e spesso le riporta anche nei suoi diari, custodi di pensieri ed emozioni. L’universo di Mirella si trova tutto in quelle pagine dove annota ciò che fa durante la giornata e ciò che sogna quando si lascia trasportare dall’immaginazione. Quella stessa immaginazione, imbevuta dei libri che legge e delle canzoni che ascolta, le permette di scrivere versi e poesie molto profonde per una ragazzina di 15 anni, perché in questi testi Mirella parla del tempo, della vita, di tutto.
Cronaca di una scomparsa
Il 7 maggio del 1983 è un sabato e a Roma è una bella giornata primaverile. Alle 13:45 Mirella esce da scuola, l’Istituto Commerciale femminile “Padre Reginaldo Giuliani” e si reca al bar di famiglia “Coppa d’Oro” sito in via Volturno 2/f. Decide poi di tornare a casa e, come di consueto, passa prima per il “Bar Italia – Pizzeria da Baffo” appartenente alla famiglia de Vito per salutare l’amica del cuore Sonia, figlia dei proprietari. Lasciato il locale percorre pochi metri e alle 14:00 arriva a casa, che si trova al civico 91. Un quarto d’ora più tardi, suona il citofono e Mirella risponde. Sua madre riesce a sentire la conversazione e riporterà in seguito alle autorità le esatte parole pronunciate dalla figlia:
“Chi sei? … Se non mi dici chi sei riattacco… Sei della terza media? … Va bene, dimmi chi sei… Alessandro Ah! Ciao! … Ma sei matto!? Io devo ancora pranzare. Ci vediamo alle tre e mezza a Porta Pia sulla scalinata”.
Una volta riattaccato il citofono, Mirella dice a sua madre:
“Mamma era Alessandro, te lo ricordi quel compagno della scuola delle medie? Mi ha chiesto se possiamo vederci per fare due chiacchiere”
La donna, che si ricordava a malapena di questo Alessandro, tenta invano di dissuadere la figlia, che le assicura di ritornare nel giro di qualche minuto poiché quello stesso pomeriggio avrebbe dovuto attendere le 16:30 per ricevere la telefonata dell’amica Giovanna Mainetti con la quale sarebbe dovuta uscire e, successivamente, recarsi a Centocelle dagli amici e da Massimo.
Mirella pranza velocemente, indossa i vestiti della mattina, maldestramente si trucca e baciando la madre e salutando il padre esce di casa. Questa è l’ultima volta che Vittoria e Paolo vedranno loro figlia.
Uscita di casa Mirella fa una deviazione e si reca al Bar Italia dall’amica Sonia. Sono le 15:27, le due si chiudono in bagno per un quarto d’ora e, come Sonia testimonierà successivamente, Mirella le racconta che Alessandro de Luca, il loro ex compagno delle scuole medie del quale Mirella s’innamorò due anni prima, le aveva chiesto di incontrarsi inizialmente a piazza della Croce Rossa, ma su richiesta di Mirella l’appuntamento era stato sposato a Porta Pia. Alessandro si sarebbe incontrato con degli amici che avevano in programma di andare a Villa Torlonia a suonare la chitarra.
Sonia dice a Mirella di lasciar perdere, che è fidanzata e che sarebbe inutile andarci, ma Mirella risponde che l’incontro con il ragazzo sarebbe durato pochi minuti, che non sarebbe andata a Villa Torlonia perché quel pomeriggio doveva uscire con l’amica Giovanna. Sonia ricorda che per l’occasione l’amica si era truccata con un po’ di ombretto, indossava un maglione grigio ad ali di pipistrello e dei pantaloni neri. Uscite dal bagno, tra le 15:42 e le 15:45 Mirella lascia il bar, saluta con una pacca sulla spalla il cameriere e amico Giuseppe Calì e si dirige verso il monumento del bersagliere di Porta Pia. Nessuno l’ha mai più rivista.
I “pochi minuti” diventano due ore e Vittoria non vede la figlia tornare. La donna si allarma, chiama Maria Antonietta al bar e insieme al fidanzato Filippo tornano a casa. L’istinto di una madre non mente, Vittoria sente che qualcosa di brutto è capitato a sua figlia e allora iniziano a cercarla: la donna chiede per strada se qualcuno l’avesse vista e Maria Antonietta si reca al bar dei de Vito dove Sonia dice che Mirella le aveva vagamente accennato che si sarebbe recata con degli amici a Villa Torlonia per suonare la chitarra. Questo è un punto tanto importante quanto controverso, come vedremo in seguito.
Per tutto il pomeriggio la famiglia tenta di mettersi in contatto con Alessandro, il ragazzo della citofonata, che in quelle ore non si trova a casa e che quando li ricontatta, alle 20:30, dice loro di non vedere Mirella da due anni.
Cadute nella spirale del terrore, alle 22:00 Maria Antonietta e la madre denunciano la scomparsa di Mirella al commissariato di Porta Pia e forniscono una foto della ragazza che viene diffusa dalle forze dell’ordine. La ricerca continua: Maria Antonietta si sposta ad Ostia dove spesso andavano al mare, chiama tutti gli ospedali di Roma e nella notte, insieme a Filippo e alle forze della polizia, perlustra Villa Torlonia senza successo. Da questo momento in poi, quella che era considerata dalle autorità come una semplice scappatella diventa un misterioso caso di scomparsa.
Il caso: cronistoria e testimonianze
Tutto inizia dalla fatale citofonata, a detta di Mirella, fatta dal sedicente Alessandro.
Trattasi di Alessandro de Luca, un coetaneo che frequentava la stessa classe di Mirella e Sonia. Mirella era particolarmente infatuata di lui, come si può dedurre dai suoi diari che contengono racconti e pensieri riguardo il giovane, del quale molto spesso scriveva in alfabeto criptato, che sembrava però non ricambiare i suoi sentimenti. Alessandro appare soltanto per un anno tra le pagine dei diari di Mirella, la quale, passata l’infatuazione, non lo menziona più e inizia a scrivere di altri ragazzi facendo degli innocenti apprezzamenti tipici di un adolescente alle prese con i propri sentimenti. Questo nome appare soltanto un’altra volta, nel 1981, in riferimento ad un ragazzo conosciuto alla discoteca “Viking” nel quartiere africano. Mirella si limita a commentarne l’aspetto fisico e non scrive altro a proposito di lui.
De Luca viene interrogato e dichiara agli inquirenti che quel pomeriggio, dopo aver studiato, era uscito dalla sua casa in Viale Carnaro n.15/c alle 15:30 per recarsi dall’amico Raffaele Luongo in Via Libia n. 185. Arriva alle 15:40 e, un’ora dopo, assieme a Luongo e agli amici Francesco Napolitano e Giorgio Picci, esce e va a casa di Elio Mazzacane in Piazza Trasimeno n. 2, per poi passare tutto il pomeriggio in motorino per le strade del quartiere Africano.
Le dichiarazioni di Alessandro sembrano non convincere gli inquirenti, che contestano il tempo impiegato per raggiungere la casa di Raffaele Luongo. Alessandro avrebbe dovuto metterci poco meno di trenta minuti per arrivare dall’amico, non dieci. Infatti, successivamente il ragazzo rettifica dicendo di essersi sbagliato. Anche gli amici del De Luca rilasciano dichiarazioni a volte in contrasto tra loro, ma le autorità ritengono che quanto detto da Alessandro sia sufficiente a far decadere ogni sospetto nei suoi confronti.
Dando per buono che quello non fosse realmente Alessandro de Luca ma qualcuno che si è finto tale, chi è l’uomo che ha parlato al citofono con Mirella? L’unico punto fermo al quale possiamo far riferimento è Sonia de Vito, l’ultima persona ad aver parlato con lei. La ragazza è certamente un elemento chiave in questa vicenda, ma le sue dichiarazioni la rendono un personaggio estremamente controverso.
Sonia de Vito tra verità e omissioni
Come accennato sopra, un (primo) punto alquanto complesso è rappresentato dalle dichiarazioni fatte da Sonia, contrastanti rispetto a quanto affermato da Maria Antonietta. Quest’ultima sostiene che quando chiese informazioni a Sonia due ore dalla scomparsa della sorella, la ragazza le rispose che Mirella le aveva vagamente accennato che sarebbe andata a suonare la chitarra a Villa Torlonia con degli amici. Maria Antonietta è sicura di aver capito bene poiché ricorda di essere rimasta stupita perché nessuno degli amici di Mirella suonava la chitarra. Secondo quanto affermato da Maria Antonietta, Sonia non avrebbe menzionato Alessandro.
La De Vito asserisce di aver detto a Maria Antonietta ciò che aveva dichiarato agli inquirenti, ossia che Mirella avrebbe raggiunto Alessandro al monumento del Bersagliere per poi tornare a casa poco dopo, mentre lui sarebbe andato a suonare la chitarra con gli amici. Ma quest’ultima dichiarazione si scontra anche con quanto affermato da Giuseppe Calì, il cameriere ventisettenne del Bar Italia. Secondo lui, infatti, la sera della scomparsa Sonia avrebbe detto che l’amica si era recata con Alessandro della terza media a Villa Torlonia a suonare la chitarra.
L’amica di Mirella Simona Bernardini racconta di essere andata a trovare la De Vito a casa sua il mattino successivo alla scomparsa e in quell’occasione Sonia avrebbe ripetuto quanto affermato la sera prima, ossia che nel pomeriggio Mirella aveva un appuntamento con Alessandro delle medie.
A distanza di poco tempo, nel bar dei de Vito, alla presenza del suo fidanzato Fabio Massimo de Rosa e di Simona Bernardini, Sonia dà sfogo alla sua preoccupazione dicendo che sarebbe stato meglio per Mirella incontrarsi con Alessandro a Porta Pia e non a Villa Torlonia per suonare la chitarra. Qui la Bernardini cita le esatte parole utilizzate da Sonia: “Mirella è stata proprio una stupida ad andarci”.
L’importanza di Sonia in questa vicenda non è dovuta solo all’ultima conversazione avvenuta con Mirella ma, più in generale, al rapporto che c’era tra le due. Dopo aver frequentato le scuole medie insieme, Sonia lascia gli studi per dare una mano nel bar di famiglia senza tuttavia interrompere l’amicizia con Mirella. Di tanto in tanto la ragazza usciva con Sonia, il suo fidanzato Fabio Massimo de Rosa, di qualche anno più grande, e gli amici di lui. Tramite l’amica Mirella frequentava quindi anche persone maggiorenni. In qualche pagina dei suoi diari sono annotate delle uscite fatte insieme ma nulla più.
Per alcuni Fabio potrebbe essere considerato un possibile sospettato anche alla luce di una dichiarazione fatta da Simona Bernardini, a cui Mirella aveva confidato di aver ricevuto delle avances dal ragazzo che lei aveva però rifiutato. Fabio nega e sminuisce la cosa, dicendo di aver probabilmente espresso un apprezzamento innocente nei riguardi di Mirella.
Sappiamo quindi che la vita sociale della giovane si divide principalmente in due gruppi di amici: quello della scuola e quello di Sonia. Ed è chiaro che l’apparente silenzio di quest’ultima desti non pochi sospetti, così come l’atteggiamento dei de Vito sembra dare adito ad ulteriori perplessità. Infatti, l’ottimo rapporto con i Gregori viene interrotto dalla famiglia di Sonia appena dopo la scomparsa di Mirella e tutt’ora il motivo rimane sconosciuto. È del tutto plausibile che i genitori di Sonia temessero per la vita della figlia e che abbiano preferito prendere le distanze dalla vicenda, ma questo atteggiamento nel tempo è rimasto tale anche a distanza di 40 anni, al punto tale che tutt’oggi Sonia evita il contatto con Maria Antonietta e con qualsiasi giornalista.
L’uomo degli aperitivi
L’ottimo lavoro svolto da alcuni giornalisti ha permesso di estendere il campo d’indagine ben oltre la figura di Alessandro, che è soltanto uno dei tanti personaggi di questa storia.
A partire dal giorno della scomparsa, alcuni avvenimenti precedenti assumono un significato diverso nella mente di coloro che erano attorno a Mirella.
La prima importantissima testimonianza viene rilasciata dalla signora Arzenton, la quale racconta quanto accaduto soltanto il giorno prima della scomparsa. Il 6 maggio i Gregori invitano amici e clienti abituali per festeggiare la riapertura del bar dopo alcuni lavori di rinnovamento. Sono presenti anche gli amici di Mirella e il fidanzato Massimo che, come da lui dichiarato, quel giorno aveva avuto un piccolo diverbio con Mirella e se ne era andato via in anticipo. Due uomini, uno biondo e uno moro entrambi sulla trentina, entrano nel bar e osservano insistentemente la giovane per scattarle delle foto, ma accortasi di ciò Vittoria li caccia dal bar.
Diffusi gli identikit dei due, Giuseppina Cassa, una donna che abitava nello stesso stabile dei Gregori, riconosce nel ragazzo dai capelli scuri una persona vista qualche giorno prima seduta ai tavolini del Bar Italia intento ad osservare chi entrava e usciva proprio dal civico 91.
Questa persona potrebbe essere ricollegabile a colui che Tommaso Nelli, giornalista freelance e autore del libro Atto di dolore riguardante il caso di Emanuela Orlandi, ribattezza come “uomo degli aperitivi”, così chiamato perché passava gran parte dei suoi pomeriggi al bar dei De Vito. È infatti la stessa madre di Mirella che, stando a quanto dichiarato, era solita vedere sua figlia e Sonia intrattenersi di tanto in tanto a chiacchierare con lui. È curioso osservare che, a detta della signora Arzenton, successivamente alla scomparsa di Mirella l’uomo misterioso abbia smesso di frequentare il Bar Italia.
Un personaggio ambiguo
A due anni dalla scomparsa di Mirella, il 15 dicembre 1985, papa Giovanni Paolo II visita la chiesa di San Giuseppe a via Nomentana e i coniugi Gregori partecipano nella speranza di essere ricevuti dal santo padre. Nell’attesa Vittoria ha un sussulto: un uomo della sicurezza sembra essere proprio il famigerato “uomo degli aperitivi”. Questi incrocia lo sguardo della donna e la sua espressione cambia, “[…] come se avesse temuto di essere riconosciuto” dirà Vittoria. Terminato l’incontro con il papa, la donna cerca l’uomo che però se ne era già andato. Parliamo di Raoul Bonarelli, vice comandante della Gendarmeria Vaticana, allora residente in via Alessandria nel quartiere Nomentano e frequentatore della parrocchia di San Giuseppe, la stessa di Mirella.
Un secondo incontro tra i due avviene nel 1993, quando la Procura di Roma dispone un confronto “all’americana” per verificare se l’aspetto di Bonarelli corrispondeva effettivamente a quello dell’uomo degli aperitivi. Ma la signora Arzenton dichiara inaspettatamente di essersi sbagliata: Raoul Bonarelli non è l’uomo visto al bar 10 anni prima.
Quella del vice comandante è comunque una posizione molto ambigua che in qualche modo sembra essere coinvolta sia nel caso Gregori che nel caso Orlandi. Lo si potrebbe evincere dal fatto che, in una chiamata risalente al 12 ottobre 1993, il comandante capo della Gendarmeria, Camillo Cibin, intima Bonarelli di non dire nulla riguardo Emanuela Orlandi con queste parole: “Niente, dici quello che sai te niente!”
Il giorno dopo, in seguito al confronto avvenuto con l’Arzenton, in chiamata con la moglie Bonarelli sostiene la propria estraneità dai fatti, dicendole che non avrebbe mai commesso qualcosa di simile, specie nello stesso quartiere in cui vive. Ciò che sconvolge sono tuttavia le parole pronunciate qualche istante dopo: “Per me è una… per me è uno di quelli che stava lì intorno quel periodo, uno di quelli che collaborava pure…ce ne ha avuti tre o quattro di questi praticoni il prete, o no?!”
Quanto detto apre la porta a nuove considerazioni inerenti a un contesto che nelle indagini non è stato affatto considerato: la Parrocchia di San Giuseppe. La chiesa si trova infatti a qualche centinaio di metri da casa di Mirella: è il luogo dove si sono sposati i suoi genitori, dove lei e sua sorella sono state battezzate, dove hanno ricevuto comunione e cresima; un punto di riferimento nella vita della ragazza.
Cosa intende Bonarelli quando parla di “praticoni”? Il rapitore potrebbe essere qualcuno vicino al parroco? Queste sono delle semplici ipotesi, ma che sicuramente meritano la giusta attenzione. Un primo passo utile sarebbe stato, ad esempio, predisporre un confronto tra Bonarelli e Sonia, la quale magari avrebbe avuto qualcosa da dire. L’ennesima occasione persa.
Il biondo
In questa storia sempre più complessa si aggiunge un altro personaggio, forse quello più importante. Non ne conosciamo il nome e nemmeno il volto, soltanto i suoi capelli biondi. Il “biondo” appare nelle varie testimonianze di amici e parenti della sfortunata Mirella e, a rigor di logica, potrebbe trattarsi sempre della stessa persona.
Giuseppe Calì ne ricorda uno, frequentatore del Bar Italia, con cui Mirella e Sonia erano solite parlare. La de Vito racconta che, due mesi prima della sparizione, Mirella le aveva confidato di essere stata seguita, all’uscita da scuola, da un uomo biondo che l’aveva invitata a salire in macchina. Un’amica della signora Arzenton, recatasi da quest’ultima per esprimerle la sua vicinanza, le racconta di aver visto Mirella in compagnia di un biondo a Via del Macao, in prossimità del bar di famiglia, nel mese di aprile. Poi, ancora, la signora Arzenton dichiara alle autorità che il 4 maggio due individui si presentarono alla scuola di Mirella in via dell’Olmata per chiedere informazioni a una bidella riguardo un’alunna della II B, di cui però non ricordava il nome. Nemmeno a dirlo, quella era proprio la classe di Mirella. Uno di questi due uomini era biondo come biondo era anche l’uomo che insieme al suo compagno aveva tentato di scattare delle foto alla ragazza il giorno prima che scomparisse. Sarebbe lecito supporre che queste non siano delle semplici coincidenze.
Emanuela Orlandi e la pista internazionale
Inizialmente la sparizione di Mirella Gregori non ottiene grande attenzione mediatica, ma all’incirca tre mesi dopo la sua foto comincia ad apparire su giornali e notiziari di tutta Italia accanto a quella di Emanuela Orlandi, scomparsa poco più di un mese dopo.
Il legame inizia ad agosto, quando un noto settimanale pubblica gli identikit dei due uomini che erano stati visti seguire Emanuela in via dei Corridori e che la signora Arzenton crede di riconoscere negli stessi individui che erano entrati nel bar il giorno dell’inaugurazione. È da questo momento che il caso Gregori viene legato al caso Orlandi in un’unione che per molto tempo ha dato adito a teorie, strumentalizzazioni e depistaggi.
Siamo in piena guerra fredda, il precario equilibrio delle potenze europee e mondiali è appeso ad un filo e ciò che succede a Emanuela e Mirella viene sfruttato a favore di chi poteva trarne vantaggio.
A partire dal 4 agosto arrivano una serie di comunicati relativi al rapimento di Emanuela e Mirella firmati “Turkesh”, in cui in cambio del rilascio delle due ragazze viene richiesta la liberazione di Ali Agca, l’uomo che nel 1981 sparò a papa Giovanni Paolo II. Dal mese di settembre il Bar dei Gregori viene tempestato di chiamate e la più importante arriva il 14 settembre: al telefono risponde Paolo che, preso dall’agitazione e non capendo cosa dicesse la persona dall’altra parte, passa la cornetta al genero Filippo Mercurio, al quale una voce maschile con accento straniero raccomanda di scrivere ciò che sta per dire per poi riferirlo a Maria Antonietta. L’uomo elenca tutti i vestiti indossati da Mirella il giorno della scomparsa, specificando il marchio di ogni capo, persino quello della biancheria intima. Se si fosse trattato di un mitomane certamente questi non avrebbe specificato il marchio degli indumenti che soltanto i familiari della ragazza e chi la rapì poteva conoscere, perciò chi ha parlato, non un chiacchierone qualsiasi, deve aver sicuramente avuto un qualche contatto con la giovane. La voce al telefono sembra appartenere sempre allo stesso uomo, noto come l’Amerikano, che aveva chiamato, dapprima rivendicando un ruolo nel rapimento di Emanuela Orlandi, già a partire dai giorni immediatamente successivi alla scomparsa della cittadina vaticana. L’elenco dei vestiti di Mirella può essere considerato come l’unica prova tangibile in tutta questa vicenda ma, purtroppo, ha portato ad un nulla di fatto.
Il continuo susseguirsi di telefonate e segnalazioni rende questa indagine sempre più intricata e una testimonianza che complica ancor di più le cose viene fornita da Ercole Orlandi, padre di Emanuela che nel 1993 racconta che Vittoria Arzenton gli avrebbe rivelato che, poco dopo la scomparsa di Mirella, degli uomini presentatisi come ufficiali di polizia, dopo aver mostrato dei tesserini che la donna non riuscì ad osservare correttamente, entrarono in casa per perquisire la stanza di sua figlia, intimando la donna, una volta finito, di non rivelare a nessuno la loro identità. Questo fatto, di cui non vi è traccia negli atti della procura, fa sorgere spontanea una domanda: chi erano quegli individui? Questa è una delle tantissime ambiguità attorno questa vicenda.
Il caso si trasforma così in un thriller di terrorismo internazionale fatto di spionaggio ed intrighi che arrivano a coinvolgere anche il Presidente Sandro Pertini quando, in una chiamata del 12 settembre 1983, l’uomo al telefono richiede un appello pubblico del Presidente, che il 20 ottobre interviene chiedendo il rilascio delle due ragazze. Ma anche stavolta nulla accade.
Poco dopo l’avvocato Egidio, legale dei Gregori e degli Orlandi, riceve una telefonata nel suo studio:
“Mirella Gregori… non abbiamo nulla da fare. Prepara i genitori a questo. Non esiste più nessuna possibilità… Ora inizia una nuova fase. Inizieremo a restituire il corpo della Gregori”
Il corpo però non è stato mai riconsegnato e le speculazioni sulla storia di Mirella si sono moltiplicate, arrivando a ipotizzare, a partire dall’appello fatto dal papa il 28 agosto del 1983 durante l’Angelus a Castel Gandolfo, una responsabilità diretta del Vaticano (anche) nei confronti di questa ragazza. A tal proposito, le teorie più assurde sono state irrimediabilmente enfatizzate dalla circolazione di una foto in cui Mirella osserva con sguardo incantato il papa in occasione di un’udienza fatta con la sua classe poco tempo prima.
Questione di denaro?
Escludendo definitivamente il coinvolgimento di organi internazionali ed entità Vaticane, il quartiere Nomentano torna ad essere il fulcro di questa storia. Mirella è stata avvicinata da qualcuno che ingannandola le ha promesso qualcosa in cambio? L’ingenuità di un adolescente sembra rendere questa ipotesi del tutto plausibile.
L’avvocato Egidio, in un’intervista del 2012, ha ipotizzato uno scenario simile successivamente a una dichiarazione rilasciata dalla Signora Arzenton alla quale Mirella, parlando del desiderio di comprare casa (nell’appartamento al civico 91 i Gregori si trovavano in affitto), disse di non preoccuparsi pronunciando la frase “ai soldi ci penso io”.
La donna rivela questo particolare a tre anni dalla scomparsa perché aveva interpretato quella frase come un semplice tentativo di tirarle su il morale, di ironizzare. Una frase innocente probabilmente, ma visto ciò che poi sarebbe accaduto risulta sicuramente inquietante.
Dopo anni di ricerche, speranze e delusioni la prima inchiesta giudiziaria viene ufficialmente archiviata nel 1997 dal giudice Adele Rando, il quale afferma con certezza che il caso Gregori sia stato unito al caso Orlandi in maniera del tutto arbitraria col fine di strumentalizzare il tutto. Ciò che affermò il giudice tanti anni fa ad oggi ci è confermato dal colonnello Günter Bohnsack, al tempo dei fatti capo della Stasi, il servizio segreto della Germania Est. Bohnsack rivela che i 20 comunicati inviati alle famiglie furono preparati dalla Stasi su richiesta della Russia e della Bulgaria per poter distogliere l’attenzione da quest’ultima, al tempo ritenuta colpevole dell’attentato alla vita di Papa Giovanni Paolo II avvenuto nel 1981.
Il documento del SISDE e la seconda inchiesta
Negli ultimi anni avviene uno dei fatti più importanti relativi alla vicenda di Mirella. Il giornalista Tommaso Nelli, durante la ricerca di materiale riguardante Emanuela Orlandi, s’imbatte casualmente in un vecchio documento appartenente al SISDE che era stato consegnato assieme al resto della documentazione relativa al caso Orlandi/Gregori ai magistrati coinvolti nella seconda inchiesta giudiziaria aperta nel 2006.
Il 26 ottobre 1983, una fonte ritenuta affidabile avrebbe ascoltato una conversazione avvenuta all’interno del Bar Italia tra Sonia de Vito e una ragazza, probabilmente una commessa di un negozio vicino. La fonte riporta le seguenti parole:
“…certo…lui ci conosceva, contrariamente a noi che non lo conoscevamo… quindi poteva fare quello che voleva…come ha preso Mirella poteva prendere anche me, visto che andavamo insieme…”.
È assurdo pensare che una testimonianza così importante sia stata gettata come fosse carta straccia tra i fogli relativi ad un altro caso e ancor più sconcertante è sapere che nonostante la riscoperta di questo documento fosse avvenuta nel 2013, nessuno si sia preoccupato di approfondire nulla. La seconda inchiesta segue il filone della banda della Magliana al quale Mirella sembra non essere in alcun modo collegata, infatti quanto scritto nel documento del SISDE passa in sordina e il tutto viene archiviato nel 2015.
Quanto detto da Sonia, se vero, ci conferma definitivamente il suo coinvolgimento nella vicenda. Lei sa qualcosa, ma il motivo per cui non abbia ancora detto tutto, che sia per un qualche ricatto o più semplicemente per paura, ancora ad oggi non ci è dato saperlo.
Segnalazioni e false testimonianze di mitomani sono quasi all’ordine del giorno quando si tratta di fatti di questa portata e per quanto riguarda il caso Orlandi/Gregori la più rilevante è l’autoaccusa di Marco Accetti, fotografo romano che nel 2013 dichiara di essere stato lui, nel contesto di una guerra tra fazioni vaticane, a rapire sia Emanuela che Mirella.
Nonostante l’interesse e il clamore che le sue dichiarazioni suscitano in un primo momento, Accetti non viene considerato come un individuo attendibile: quanto dice dimostra la conoscenza di determinati fatti ma non prova in alcun modo un suo coinvolgimento diretto. L’uomo è un mitomane, cerca attenzioni raccontando storie che non stanno in piedi in alcun modo.
Diversamente da lui, altre persone testimoniano solo ciò che hanno effettivamente visto o ascoltato. È il caso di Simona de Santo, amica di Mirella che prima della sua sparizione nota in più occasioni una macchina scura seguirle con a bordo due uomini mediorientali.
Cercando di non considerare questi avvenimenti come fatti isolati, quanto dichiarato dalla de Santo risulta facilmente collegabile al fatto raccontato da Calì, ossia che una settimana prima della scomparsa di Mirella un uomo dai tratti mediorientali entrato nel Bar Italia gli chiese informazioni su Mirella, che in quel momento stava parlando con Sonia. Calì si limitò a dirgli che era un’amica della barista.
La commissione parlamentare di inchiesta
Sono passati 40 anni e nemmeno per un giorno la famiglia Gregori ha smesso di cercare Mirella. All’angoscia dell’assenza si è unita l’imprescindibile voglia di verità. Una verità che oggi il Parlamento Italiano vuole consegnare.
In seguito all’apertura di un’inchiesta interna al Vaticano riguardo la sparizione di Emanuela Orlandi, a fine marzo di quest’anno è stata proposta l’istituzione di una commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela e di Mirella approvata all’unanimità alla camera dei deputati e successivamente in Senato dalla Commissione affari costituzionali il 27 giugno. Dopo quattro decadi il governo Italiano ha deciso di scavare a fondo in queste due storie, impegnandosi a ricostruire i fatti e ad analizzare i materiali provenienti da inchieste giudiziarie e giornalistiche con la ferma intenzione di far luce su ciò che ha ostacolato le precedenti indagini.
Emanuela con la fascetta sulla fronte e Mirella dagli scuri capelli ricci occupano un posto nella memoria di ognuno di noi, le loro storie hanno contribuito a formare le nostre coscienze e ottenere la verità è l’unico modo per dare finalmente giustizia a queste due ragazze.
Mirella, come Emanuela, è stata sfortunata, sogni e speranze le sono stati strappati quando qualcuno ha deciso di portarla via, trascinandola nell’oscurità in cui è intrappolata da quel lontano 1983 e in cui nella più assoluta disperazione Vittoria, Paolo e Maria Antonietta hanno continuato a brancolare. Il dolore nel cuore di sua madre è stato talmente forte da logorarlo, ma lei non ha permesso alla morte di annichilire la speranza che l’ha tenuta in vita ogni singolo giorno da quel maledetto 7 maggio. Mamma Vittoria e Papà Paolo hanno vissuto fino alla loro morte con un dolore dentro che è difficile persino immaginare. Maria Antonietta è rimasta sola a portare questo enorme fardello fatto di paura e incertezza, tenendo addosso una ferita che ancora rimane aperta ma nonostante questo non arretra di un passo. Il coraggio di sorella l’ha portata tra le strade, in televisione e fin dentro i palazzi del potere, forte del sostegno di tante persone. La battaglia portata avanti dai Gregori ha fatto sì che la storia di Mirella non passasse inosservata e dopo quarant’anni siamo ancora qui a parlarne mossi dalla volontà di arrivare a una conclusione definitiva, con la speranza che l’Italia e la famiglia Gregori possano sapere la verità e che Mirella possa finalmente ricevere giustizia.