Estela Barnes de Carlotto ha 93 anni, è argentina, originaria di una piccola città vicino Buenos Aires, La Plata. Estela è la Presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, l’associazione argentina nata durante la dittatura del 1976 che ha provocato la scomparsa di 30mila persone (chiamati, appunto, desaparecidos). Il gruppo di Estela e delle altre “Nonne” dedica anima e corpo alla ricerca, da quasi 50 anni, dei propri nipoti, vittime ignare di uno dei periodi più bui vissuti dall’Argentina, un periodo che ha visto alternarsi tremende storie di sequestri, brutali torture, sangue e violenze di ogni genere. Le Madri, e poi le Nonne, sono state le prime a denunciare a gran voce quello che stava accadendo nel Paese, marciando e manifestando in quella Plaza de Mayo sotto le continue minacce della dittatura e, ancora peggio, sotto lo sguardo indifferente e cinico degli altri stati che non boicottarono i mondiali di calcio in Argentina del ’78, pur essendo perfettamente consapevoli di ciò che stava succedendo.
A Estela sequestrarono prima il marito Guido, lo torturarono e lo restituirono alla famiglia in seguito al pagamento del riscatto. Ma, a fine novembre 1977, ad essere rapita fu Laura, una delle figlie di Estela, insieme al compagno. Entrambi militavano nella politica studentesca peronista ed erano considerati figure scomode dal regime. Laura era incinta di due mesi e mezzo. Fu portata in un centro di detenzione segreto chiamato La Cacha, dove uccisero davanti a lei il compagno. Il bimbo nacque nel giugno 1978, mentre Laura era ancora in prigione. Due mesi dopo fu trascinata fuori dal campo, dove l’esercito organizzò un finto scontro armato. Quando il suo corpo venne consegnato a Estela, erano evidenti i buchi da proiettile all’altezza dello stomaco e il volto appariva tumefatto, probabilmente dopo aver subito i colpi del calcio di un fucile. In seguito, alcuni sopravvissuti del campo raccontarono a Estela che la figlia aveva partorito un bambino che aveva deciso di chiamare Guido, come suo padre.
Da quel momento gli sforzi di Estela furono rivolti tutti al ritrovamento del nipote scomparso. Ma qualcosa era cambiato: la ricerca non era più spinta da un dolore individuale, si era trasformata in una lotta collettiva che apparteneva anche a tutte le altre madri e nonne che avevano vissuto una storia simile. Da quel momento la búsqueda divenne un imperativo morale per le Nonne, un simbolo di attivismo politico, denuncia dei soprusi della dittatura e di lotta per la memoria argentina.
Conosco Estela in occasione del conferimento della laurea ad honorem da parte di Roma Tre e riesco a ritagliare uno spazio con lei per farmi raccontare la sua storia. Mi accoglie in una sala del suo albergo in Via Leonina, con una tazza di mate in mano e circondata dai parenti e amici che l’hanno accompagnata da Buenos Aires. Tra questi, la sua seconda figlia Claudia. Estela si presenta come una donna elegante, delicata, ma nei suoi occhi chiari c’è tutta la forza di chi non si è mai perso d’animo. Estela non ha più paura di morire, forse non l’ha più avuta dopo il sequestro di Laura. Alle mie domande risponde sempre in maniera lucida, ma il suo sguardo è altrove, fruga nei dettagli di quel passato oscuro che accompagna la sua vita da più di 40 anni.
Siamo una rivista indipendente, ci occupiamo di reportage e di storie fuori dall’usuale. La sua è un esempio incredibile.
‹‹La mia storia personale è sicuramente stata diversa da quella che, quando ero piccola, credevo sarebbe stata la mia vita. Ho visto tante dittature, una dopo l’altra, ma mai mi sarei aspettata questo. E coloro che più ne hanno sofferto sono stati i figli››.
Lei è Presidentessa delle Abuelas de Plaza de Mayo da 35 anni. All’inizio era una maestra, così come anche le altre donne facevano altri lavori. Cosa è successo in Argentina nel ‘76?
‹‹Sono sempre stata un po’ “maestrina”, fin da piccola, portavo a casa i miei compagni di scuola per aiutarli a studiare. Sono stata docente in una scuola piccola, molto umile, a 40 chilometri da La Plata, dove vivo. Da lì poi mi assunsero in un’altra scuola più grande vicino casa mia. Lì mi facevo il mio lavoro tranquilla, pensando al mio futuro. Mi aspettavo di condividere la vecchiaia con mio marito e occuparmi dei miei figli, una vita normale, in famiglia. Poi arrivò questa dittatura militare. La conseguenza che portò con sé fu tremenda, con i sequestri sistematici che seguirono. La Plata è una città universitaria, ha molte scuole in cui studiavano anche le mie figlie. Loro si erano sposate molto giovani e avevano già la propria vita, però continuavano frequentando la loro famiglia. Non fu facile. Il primo che sequestrarono fu mio marito, accusato di essere padre di queste “delinquenti”. Lo trattennero per 25 giorni, lo torturarono, mi chiesero molto denaro per liberarlo e me lo riportarono molto malato. La sua vita e il suo spirito da quel giorno si trasformarono totalmente.
Cosa successe invece a sua figlia Laura?
Laura era la maggiore delle mie figlie. Militava anche lei nei gruppi politici studenteschi ed era molto attiva. Quando vide che suo padre era stato sequestrato, si spaventò e si rifugiò a Buenos Aires. Nonostante questo, la trovarono e la sequestrarono. Sia lei che il suo compagno. In quel momento era incinta di due mesi e mezzo. Passò 8 mesi in un campo di concentramento chiamato La Cacha. Il compagno lo uccisero subito. Lì nacque suo figlio, che chiamò Guido, come il padre. Io continuavo a chiedere la sua liberazione, ma alla fine la assassinarono. La cercai talmente tanto…
Riuscii a parlare con l’ultimo presidente de facto in Argentina, Bignone. Conoscevo sua sorella che era maestra come me, eravamo amiche, avevo conosciuto anche lui molti anni prima. Solo dopo mi resi conto che era anche lui un assassino. Mi ricevette con un revolver sul tavolo, io ero andata a chiedergli di Laura. Osai dirgli: “Se già l’avete uccisa, datemi almeno il corpo. Non voglio cercarla in un cimitero.” Mi chiese dei dati, delle informazioni. Alla fine, me lo diedero, il corpo. Mi chiamarono da un commissariato, lì avevano il corpo di Laura. Non me lo lasciarono vedere, però mi permisero di farle un funerale, di dirle addio.
Come si formò l’Associazione?
Durante tutto questo tempo, eravamo lì, madri e poi nonne, unite, formando un gruppo parallelo a quello delle Madri. La differenza era che noi ci dedicavamo esclusivamente alla ricerca dei bambini. Alcune si unirono dal principio, altre poco dopo, ma esistiamo ancora oggi. Anche se oggi siamo rimaste poche (nella giunta direttiva siamo solo due nonne), il resto sono tutti nipoti››.
Estela fa un attimo di pausa, sorride, si vede che è orgogliosa.
‹‹Sono proprio i nipoti che abbiamo ritrovato a rendermi felice. Oggi sono loro che formano l’Associazione Abuelas de Plaza de Mayo. Portano nuove idee, un altro linguaggio, pensano diversamente, però non mi faccio mettere ancora i piedi in testa. Alzo il dito e dico loro “Comando io, eh!”›› mi dice ridendo.
Il vostro obiettivo rimarrà sempre la ricerca dei nipoti scomparsi?
‹‹Sempre. Finché sarò in vita. Ormai i nipoti sono grandi, alcuni hanno figli. Noi come Abuelas siamo presenti spesso anche nelle scuole primarie e secondarie, con i bisnipoti. In questi luoghi dove ci permettono di raccontare questa triste storia, con un linguaggio adatto a chi sta ascoltando, soprattutto se si tratta di bambini, può accadere che i ragazzi tornino a casa e raccontino poi quello che hanno sentito ai genitori: “Papà, ci sono delle nonne che cercano i loro nipoti, nipoti che ora sono grandi come te, potresti essere uno di loro”. Ci sono alcuni che naturalmente non vogliono scoprire la propria storia, altri che invece si animano e pensano: “Se non conosco la mia identità ora, anche mio figlio la perderà”››.
In questi anni si sono aggiunti anche altri obiettivi, culturali, sociali e politici. Lei come presidente in che modo ha gestito e come gestisce tutto questo? Las Abuelas hanno progetti per il futuro?
‹‹L’Argentina è un Paese enorme. Come Associazione abbiamo molte filiali in ogni provincia, gestite dai nipoti delle nonne che ci hanno lasciato. Non sono mai stata sola nell’organizzazione di ogni progetto, siamo sempre in contatto, soprattutto al giorno d’oggi con tutti i mezzi che ci sono per rimanere connessi. I nipoti che fanno parte ora della commissione danno un tocco molto più moderno a tutto. Io cerco di accompagnarli, di essere presente, di aiutarli a non dimenticare ciò che è successo nel nostro Paese. Grazie al loro lavoro, abbiamo raggiunto nipoti in tutto il mondo, anche in Italia. Alcuni di loro mi dissero che volevano organizzarsi in un gruppo per cercare i propri nonni e lo formarono davvero, grazie al nostro aiuto.
Abbiamo girato tutto il mondo, ho viaggiato tantissimo, dal Nord America all’Australia. Fino a luoghi che non avrei mai immaginato. Questo mi ha fatto capire che la nostra storia è universale. Ciò che è accaduto in Argentina e in quasi tutta l’America Latina fu una voracità di morti, di campi di concentramento, di torture, di situazioni complesse anche in relazione al narcotraffico. Sappiamo che ci sono paesi sottomessi a questa gente. Tra i vari progetti, per questo motivo, abbiamo fondato anche l’Associazione Fedefam, una federazione nata in Venezuela formata da familiari di persone scomparse forzatamente. Questo vuol dire che in tutta l’America Latina si continua la ricerca, con fratellanza e solidarietà. Siamo convinte che ogni parente scomparso possa trovarsi in qualsiasi posto, ma avrà sempre una famiglia che lo cerca e vuole restituirgli un’identità rubata. Abbiamo formato anche “Gli antropologi forensi”, un gruppo di massimi esperti nella riesumazione dei resti. Grazie a loro abbiamo trovato 35 nipoti e 4 madri che furono uccise quando ancora erano incinte. Anche questi quattro bambini mai nati noi li consideriamo nipoti ritrovati. Eppure, mancano ancora tanti nipoti, più di 300 sono quelli che stiamo cercando››.
Javier Milei, nuovo presidente dell’Argentina, nega questi numeri e ha affermato che i desaparecidos non erano 30mila. Quali sono i rischi, secondo lei, del negazionismo storico nel suo Paese?
Estela si incupisce: ‹‹Milei è un cattivo esempio per il mondo. È terribile che un presidente neghi ciò di cui abbiamo le prove, non solo in Argentina. Anche le Nazioni Unite, il Consiglio Mondiale della Chiesa, tutti hanno le prove di ciò che è successo. A fare una brutta figura è lui. In ogni caso, noi rispettiamo la scelta del popolo argentino perché il popolo è sovrano. Non condividiamo quello che dice, né quello che fa, e quando ci sarà bisogno noi non staremo in silenzio. Per ora continuiamo a lavorare come abbiamo sempre fatto e stiamo a guardare cosa succede››.
È preoccupata per i suoi comportamenti?
‹‹Sì, certo. Sminuisce la storia del nostro Paese e questo mi preoccupa molto. In più, è una persona instabile, appare mentre balla con l’amante in pubblico o mentre si fa beffe della storia. Atteggiamenti non sono adeguati per un presidente››.
Anche noi qui in Italia stiamo vivendo un periodo di “ritorno alla destra”, per così dire. In questo clima, quali sono i consigli che si sente di dare a noi giovani?
‹‹La gioventù per noi è il futuro e il presente. Siamo felici quando vediamo che conoscono bene la storia dei nostri Paesi con sicurezza e serenità, senza distorsioni soprattutto. Dove la storia viene raccontata diversamente, è facile che venga trasformata in una menzogna che poi magari finisce anche nei libri. Abbiamo molta fede nei giovani, voi al giorno d’oggi avete una capacità di comprensione di tutto molto più moderna. Io, invece, spesso fatico a capire molte cose. Vi vedo che lavorate velocemente, bene, soprattutto con la tecnologia. Su questo vi dico di stare più attenti perché quelli tecnologici sono mezzi ottimi da usare ma non devono essere gli unici. In ogni caso, siete una gioventù di cui vogliamo avere cura, per far sì che mai vi possa accadere ciò che è successo a noi››.