Pólvora

Dal trimestrale Numero 1 – Feste

Nel cuore del Guatemala, nel villaggio di San Raymundo, la produzione di fuochi d’artificio non è solo un mestiere, ma un elemento cruciale di identità sociale. La tradizione della pirotecnica si intreccia con il senso profondo della fede, di resistenza culturale e di festività plurisecolari delle famiglie locali.

Il viaggio dei cohetes

Dopo aver varcato la frontiera del Messico, mi si stagliano davanti quelle montagne immobili con cui ho convissuto per tanto tempo e che rappresentano per me l’identità del Guatemala, in cui sto tornando dopo un anno. Il viaggio nella ‘camioneta’ è lungo e traballante, ma riesco a perdermi nei miei pensieri e in un attimo sono al “pueblito” di San Raymundo. Tutto sembra uguale ma più calmo, mi stupisce l’assenza del caos dei tanti mezzi di trasporto e del fuggi fuggi quotidiano delle persone che fanno acquisti. Acchiappo al volo un microbus in direzione del monte, il ‘cerro la Granadilla’, il luogo rurale, semi isolato e pieno di contraddizioni dove ho vissuto un anno da volontaria di una ONG e come parte della comunità del ‘villaggio’, come lo chiamavamo io ed i miei compagni. 

In viaggio verso il Cerro, non posso fare a meno di ricordare i ‘cohetes’, una componente che appartiene alle nostre vite e che in qualche modo non smette di farne parte nemmeno ora. Per il mondo dei fuochi artificiali e della ‘polvora’ ho provato una strana attrazione fin da subito, una curiosità genuina che si è alimentata passando giornate intere nelle case delle famiglie locali. In quei pomeriggi con loro le chiacchiere si sovrapponevano alla mia osservazione attenta, affascinata dalla maestria con cui lavoravano ai fuochi d’artificio in modo preciso, rapido e ripetitivo, ad un artigianato un po’ particolare. Sì, perché non si può pensare la vita nel monte, come in gran parte del Guatemala, senza la presenza costante del rumore e dell’odore intenso della polvere da sparo. Nelle occasioni di festa esplodono bombe dalle prime luci del mattino. Per tutto il giorno, davanti al patio delle case, rimane costante il ticchettio metodico delle mani al lavoro e gli scoppiettii improvvisi che dovrebbero garantire il corretto funzionamento del prodotto. 

Cohetes

Il tempo è scandito dalle esplosioni dei cohetes. A cadenza talmente regolare che nessuno sembra farci più caso. I cohetes sono il filo rosso che collega tutte le persone del cerro, del vicino pueblo di San Raymundo e della vasta periferia di Città del Guatemala. “È un passaggio che si estende fino quasi tutte le regioni del Guatemala e che sorpassa confini e frontiere del Centro America” mi racconta El Diablo, il proprietario della mia stanza in affitto e della coheteria sotto casa. “I materiali chimici – mi spiega – provengono dalla Cina ed arrivano in nave fino alla Costa Atlantica di Puerto Quetzal in maniera legale; da lì, vengono inviati in un grande magazzino di materiali chimici vicino a San Raymundo, chiamato ‘Seguri Centro’, che poi li distribuisce ai venditori più piccoli nei vari ‘pueblos’ circostanti. L’unico elemento che viene estratto dal territorio locale, grazie alla grande presenza di vulcani, è lo zolfo. A San Raymundo, come in altri pochi luoghi disseminati nel Dipartimento del Guatemala, si mischiano tutti i componenti per arrivare ad un prodotto da detonazione. La polvere da sparo che ne deriva è un prodotto illegale. Ma non è illegale la vendita sotto forma di cohetes”. Mi racconta anche che il mercato è un po’ in calo: la causa è il prezzo elevato dei materiali che fa alzare notevolmente il costo del prodotto finito. Di conseguenza, le persone comprano meno cohetes e solo per le occasioni speciali. 

El Diablo mi mostra orgoglioso tutta la mercanzia che vende nel suo negozio; molti materiali vengono dal vicino Messico e tornano indietro sotto forma di prodotti finiti, attraversando la frontiera di Tecun Uman. La forma adottata in questi passaggi di merce è per metà legale e per l’altra metà illegale, un sistema che consente ai commercianti di evitare molte tasse doganali e vendere il prodotto ad un prezzo più accessibile alla popolazione locale. I cohetes, quindi, vengono trasportati dal Guatemala in camion fino alle varie frontiere del Messico, da cui, spesso, vengono impacchettati e tirati nel fiume di frontiera, dove verranno poi ‘pescati’ da altri trasportatori. Una grande catena che parte dalla Cina via mare e attraversa il continente americano verso nord per via terrestre, riuscendo, con le giuste misure, ad arrivare fino al Canada. Il tragitto su gomma percorre anche le strade verso il sud del Guatemala, arrivando fino ai paesi del Centro America come San Salvador e Honduras. I quali, nonostante una propria tradizione pirotecnica, non sono mai riusciti a raggiungere un livello di produzione così elevato come in Guatemala, specie per il pericolo di esplosioni dovuto al clima troppo caldo.

È difficile spiegare la portata del fenomeno pirotecnico guatemalteco. In parte perché è un qualcosa interiorizzato nella vita e nella cultura di un intero popolo, in parte perché rimane e si sviluppa in dei circuiti di semi illegalità, caratteristica di molte attività di cui non si vuole o non si può parlare nel paese. La totale assenza di una struttura statale, di una politica capillare e di un interesse verso i diritti umani, si è convertita per i soggetti locali in un’assenza di regole con cui poter giocare: una creatività nella quale trovare modi di resistere all’abbandono da parte dello Stato. È qui che si staglia la quotidiana e silenziosa resistenza delle famiglie del cerro la Granadilla che ho conosciuto: la perseveranza delle loro abitudini, tradizioni, modi di vivere di fronte alle forze disgreganti che li circondano – tra cui la migrazione verso gli Stati Uniti e le varie politiche di ‘desarollo’ post-guerra. 

El Diablo

Un lavoro familiare e identitario

In Guatemala, chi lavora con i fuochi d’artificio guadagna una miseria, ma per molti è una scelta preferibile rispetto ai campi di milpa (mais), dove la retribuzione è ancora più bassa. L’occupazione pirotecnica ha tutta una serie di vantaggi: si lavora da casa, gli orari sono più flessibili, la forza lavoro è la famiglia, bambini compresi. Me lo spiega Brenda, abitante del Cerro: i suoi figli più grandi, dodici e dieci anni, la mattina vanno a scuola e il pomeriggio si occupano di fuochi d’artificio. Il loro lavoro è prezioso ed i genitori lo riconoscono silenziosamente. Antonio, il papà, lavora anche di notte. Non lo si vede mai lontano dalla sua postazione. Sta riverso su di un piccolo banchetto in legno e compie movimenti rapidi e precisi, mantenendo la massima concentrazione. Qualcuno la chiamerebbe “produttività”. Brenda, invece, lavora ai cohetes in maniera più frammentaria: sei figli cui badare, il più piccolo sulla spalla, trasportato nel tipico ‘reboso’ colorato. Ogni giorno va a raccogliere la legna nel bosco per accendere il fuoco. Cucina tortillas, fagioli e caffè. 

Se si tratta di storia del paese di San Raymundo bisogna parlare con il ‘famoso historiador’, Pedro Casillas. Vado a casa sua. “La pirotecnia non è sempre stato un mestiere casalingo” – mi dice. “Lo è diventato dopo la chiusura delle fabbriche di cohetes in tutto il Paese. Fu una questione di incidenti sul lavoro: molti operai ignoravano le regole sulla corretta manipolazione della polvere da sparo”.

Ciò su cui Pedro mi fa riflettere è la pirotecnica come elemento d’identità del gruppo sociale che la crea e come una delle forme di tradizione e costume del popolo guatemalteco. È importante prendere in considerazione la capacità autonoma di queste persone di creare il proprio mondo attraverso la propria agency, intrecciandola con le circostanze specifiche del loro ambiente naturale e sociale. Nonostante la pirotecnia sia arrivata nel paese attraverso gli spagnoli e in generale in Latino America per scopi bellici e poi ricreativi, questa tradizione culturale ha origini pre ispaniche ed ha a che vedere con il simbolismo del fuoco, della festa e della spiritualità. Per i guatemaltechi la coheteria è fondamentale nella vita quotidiana e nel rapporto costante con la religione cristiana, principalmente cattolica. Il Guatemala è un paese profondamente credente, in cui la fede e le tradizioni preispaniche si sono intrecciate indissolubilmente con il cattolicesimo, creando una spiritualità che ad oggi viene chiamata pan-maya.

I fuochi sono stati usati fin dall’antichità come tema principale della festa e con il fine di ringraziare Dio, godere del suo splendore e lodare la sua magnificenza. È difficile immaginare una festa senza una cornice di fuochi d’artificio. La polvere da sparo è usata come un elemento di grandezza e fragore intenso, una forma di devozione e manifestazione d’allegria e fede. Il momento di maggiore importanza e ringraziamento verso il santo patrono è, però, la Feria di San Raymundo. Oltre ai festeggiamenti ufficiali, che durano l’intero mese di gennaio, organizzati dalla chiesa e dalla Municipalidad, anche moltissime famiglie partecipano attivamente alla compera di esplosivi e alla costruzione dei propri fuochi d’artificio.

È impensabile immaginare la ‘feria’ ed i festeggiamenti senza la presenza della polvere da sparo. Proprio il paese di San Raymundo è conosciuto in tutto in Guatemala per la qualità del lavoro pirotecnico, per la sua tradizione e per il grande uso di polvora. Qui, rispetto ad altri paesi del Guatemala, la festa è più audace e sfacciata: si corre, si balla a ritmo di marimba, vengono seguite le esplosioni del ‘torito’ (un grande toro fatto di fuoco artificiale) e bruciate infinità di bombe. L’emozione di avere i vestiti consumati dal fuoco o qualche ferita ‘di guerra’ è simbolo di successo, di orgoglio paesano e del fatto che i ‘toritos’ e i cohetes sono stati sfruttati a dovere. L’ossessione per la figura del toro viene da un passato ispanico e dalla tradizionale corrida: in entrambi i casi, sia nella corrida come nel torito si corre dietro ad un toro giocando a non farsi incornare o a non farsi bruciare, ma allo stesso tempo cercando di avvicinarsi il più possibile per sfidare la sorte ed uscirne gloriosi.

Quel che si capisce parlando con le persone del paese è che il significato della festa ha radici antiche: l’uso dei fuochi d’artificio nasce da pratiche ancestrali, espressione di giubilo e gioia che trascende le differenze socio-economiche ed etniche. Dalle aree urbane a quelle rurali, la pirotecnia è usata in ambito culturale, sociale, politico e religioso, per valorizzare l’attività celebrata. Inoltre, si può ben capire come la produzione di ‘cohetes’ possa essere una forma di resistenza culturale e politica, non solo un obbligo dato dal contesto rurale di povertà: fa parte della vita quotidiana della comunità e contribuisce alla creazione di un senso di appartenenza e di identità profonda legata al territorio.