
Con i progressi medici che hanno allungato di molto le aspettative di vita delle persone disabili, sorge un problema: come garantirgli un futuro dignitoso e autonomo, fuori da strutture private, quando i loro genitori non ci saranno più?

Ritrovo gli appunti del viaggio precedente tra i file del computer e sorrido. Vorrei rimetterci mano, inserirmi di più nella narrazione, adeguare lo stile alle parole che seguono, aggiornare giudizi ormai mutati, ma l’istantanea di una Moldavia disillusa corrisponde ancora alla realtà di un paese dimenticato. Ci torno per l’ennesima volta dopo otto mesi circa. Una guerra fratricida ha causato l’ennesimo terremoto politico che, almeno stavolta, hanno avvertito tutti.

Luca Steinmann, reporter italo-svizzero, arrivò nel Donbass dei separatisti il 18 febbraio 2022, convinto che ci sarebbe rimasto solo una decina di giorni. Tutto cambiò dal 24 febbraio: cominciò l’invasione russa e l’Ucraina si ritrovò al centro del mondo.

La Moldavia ha appena compiuto trent’anni ma dimostra la maturità di un neodiplomato. Anche qui, come in gran parte dei paesi dello spazio post-sovietico, si celebra il trentennale dell’indipendenza dalla Grande Madre. Il clima che trovo, in questa seconda visita avvenuta nel giro di tre anni, è simile a quello che incontrai la prima volta.

In Ucraina fin dall’inizio dell’invasione russa, Cristiano Tinazzi è stato uno dei primi reporter a raggiungere la stazione di Kramatorsk l’8 aprile 2022. Quel giorno un missile Tochka-U rilasciò una serie di ordigni su una stazione gremita di gente, uccidendo più di 50 civili.

Chi entra in Polonia, varcando la frontiera dopo chilometri di cammino, trova il centro di primo soccorso, allestito lungo un piccolo ritaglio di terra che fiancheggia la strada che conduce alla dogana. Sono i gazebo delle organizzazioni umanitarie, delle piccole Ong arrivate da ogni parte del mondo. Ci sono i francesi di “Sauveteurs sans frontières”, poi l’associazione statunitense dei “Sikh”, e poi gli inglesi, scozzesi, spagnoli, i volontari della comunità pakistana in Germania. Le loro bandiere sventolano orgogliose al fianco dei colori giallo e blu.

Da un torrente in piena ad un fiumiciattolo alimentato dall’acqua piovana. Se al confine rumeno-ucraino di Siret passavano circa 30.000 profughi al giorno durante l’inizio della guerra, ora non ne passano più di mille. Chi doveva scappare, sembra, l’ha già fatto. Le sirene antiaereo delle città tra Leopoli e Kiev suonano in continuazione, ma l’abitudine le ha fatte diventare un sottofondo musicale. Nelle altre zone, perfino il boato delle bombe è divenuto normalità.