Quali potrebbero essere le conseguenze, in primis sul piano morale, della delega di funzioni e responsabilità, dapprima appannaggio esclusivo di noi umani, a favore dei cosiddetti electric brains? I processi di deresponsabilizzazione ai quali siamo oggi sottoposti vanno certamente interpretati nel più ampio scenario della responsabilizzazione macchinica, la quale, per come la stiamo intendendo, non è certo una novità.
Dal secondo dopoguerra a oggi, a metterci in guardia sulla nostra potenziale autodistruzione sono stati in parecchi. Tuttavia, per quanto concerne i discorsi sulla bomba ci si potrebbe benissimo fermare, per esaustività e chiarezza (ma anche per forza espressiva), a quelli fatti da un filosofo-giornalista-attivista quasi dimenticato che la lotta alla «cecità all’Apocalisse», come la definiva lui, l’ha assunta a vera e propria ragione di vita. Si chiamava Günther Anders.
Il significato della data del 22 giugno 1983 lo conoscono in molti; altrettanti, ignorando il calendario, hanno comunque presente la storia che ha avuto inizio quel giorno; altri ancora, i più giovani, è possibile che non abbiano idea di cosa si stia parlando, ma prima o poi lo sapranno. Perché la storia di Emanuela Orlandi – cittadina vaticana di quindici anni sparita sul suolo italiano dopo aver svolto la sua consueta lezione di musica alla scuola Ludovico da Victoria – è una di quelle che una volta entrate dentro l’immaginario collettivo, non ne escono più.
Di piste, nel caso Orlandi, ne sono state percorse tante. Tre le principali: quella internazionale, che vede Emanuela rapita dai Lupi Grigi per estorcere al Vaticano la liberazione di Mehmet Alì Ağca; quella del ricatto alla Santa Sede operato da parte di Cosa Nostra, con la complicità della banda della Magliana, al fine di recuperare denaro investito nello Ior e "perso" nel crack dell’Ambrosiano; e, infine, quella che vedrebbe il Vaticano impegnato a tenere la ragazza segregata a Londra.
La sparizione di Emanuela Orlandi ricorda le scatole cinesi: apri una scatola e dentro ce n’è un’altra, poi un’altra ancora e tante altre. Tutte queste scatole, per motivi diversi e talvolta distantissimi gli uni dagli altri, sono profondamente interconnesse fra loro in un legame che, più volte, appare inscindibile.